Il patto di non concorrenza è disciplinato dall’articolo 2105 del Codice Civile ed è lo strumento che ha il datore di lavoro per proteggere il Know-how ed il patrimonio di conoscenze in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro con un dipendente. Se infatti, il lavoratore trova un nuovo impiego in una azienda concorrente, esso potrebbe portare con sé dati sensibili che fanno parte del patrimonio aziendale.

Come può il datore di lavoro proteggersi? Tramite appunto alla clausola di non concorrenza che vincola il lavoratore alla fedeltà.

L’art. 2125 de Codice Civile recita: “Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.”

È evidente quindi che ci sono delle condizioni ben precise affinché il patto sia valido:

  1. Deve essere scritto (non necessariamente all’interno del contratto di lavoro)
  2. Deve essere stabilito un corrispettivo congruo a favore del lavoratore
  3. Devono essere determinati limiti di oggetto che non può essere estraneo all’attività lavorativa
  4. Deve essere stabilito un limite geografico stabilendo i confini territoriali di questo patto e possono anche essere specificate le aziende concorrenti
  5. Il limite di tempo è di massimo 5 anni per i dirigenti e massimo 3 anni per le altre cariche.

Il patto può essere considerato nullo quando il compenso stabilito per il lavoratore è simbolico

Oppure quando impone limiti e restrizioni che compromettano la potenzialità reddituale del lavoratore.

 

Cosa succede se il patto viene violato? Può essere inserita una clausola penale in caso di violazione che stabilisce un risarcimento del danno, il quale però deve essere provato. Il datore di lavoro può dunque accusare di “concorrenza sleale” l’ex lavoratore e di concorrenza parassitaria l’azienda che ne trae beneficio.

 

In questo caso, dato che l’onere della prova è del datore di lavoro l’investigatore può essere la chiave per far valere in sede di giudizio il vostro diritto. I nostri investigatori svolgeranno le indagini necessarie con la massima discrezione e in modo da reperire tutta la documentazione necessaria per provare la colpevolezza in sede di giudizio.

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